Erano i primi anni del duemila e il mondo appariva molto diverso da ora. Non c’erano smartphone, social network e il web era nato da poco. Quasi nessuno aveva un laptop e se eri fortunato avevi uno scatolone color cacca slavata con cui scambiarti mail e messaggi. Alcuni avevano un cellulare ed erano il citofono di un intera comunità. se dovevi chiamare Marco, andavi da Francesco che aveva il telefono che chiamava Ambrogio che passava il messaggio a Marco. Era un mondo complicato ma pieno di fascino. Un altro affare complicato era informarsi, specialmente se cercavi notizie che non avevano spazio sulla Nazione o La repubblica.
Siamo dentro una casa colonica occupata sulle colline di careggi. La casa ha un nome “g.s.a. Cecco rivolta” ghetto super-giovani antinoia. Li dentro ci passava il mondo, e fu uno dei luoghi dove si cominciava a ragionare di comunicazione e di informazione. Nello specifico si cercava di costruirsi degli strumenti che rimettessero in mano alle persone il potere di produrre e diffondere contenuti, bypassando i media mainstream.
Fu in questo contesto spumeggiante che venne fuori l’idea di fare un giornale murario. Un’idea assurda, se si pensa che tutto il resto del mondo era proiettato nel wild web, territorio che offriva mille possibilità ancora tutte da esplorare. Ma alla base di questa follia c’era la convinzione di dover arrivare sulla strada, sotto gli occhi della gente presa dai loro rispettivi quotidiani.
Quello che si voleva fare arrivare erano le notizie di un mondo sotterraneo ma in costante fermento, un mondo che esisteva sulle strade, negli spazi occupati o nelle Università. Se osservato dall’interno, quel mondo appariva come una rete articolata e multiforme, ma agli occhi delle persone che di quel mondo non facevano parte, risultava distorto se non taciuto dai media tradizionali, in particolar modo dai giornali locali.
Stampa Clandestina, questo il nome di quel giornale, fu un esperimento di contro-informazione e contro-cultura dal basso che durò per più di 4 anni, comparendo ogni settimana sui muri della città di Firenze. Veniva attacchinato meticolosamente in ogni quartiere e in ogni Università, di fronte alle scuole e alle edicole, su gli angoli più improbabili della città. Aveva un formato stretto e lungo e raccoglieva, rileggendoli, gli eventi più significativi della settimana, concentrandosi sugli aspetti locali ma non lesinando neanche su quelli nazionali. Inoltre conteneva una sorta di mappa degli spazi liberati di Firenze, portando quella grande rete per la prima volta sotto gli occhi di tutti.
Ai tempi non c’erano magnati a sovvenzionare questa esperienza e negli anni il progetto è sopravvissuto grazie alla testardaggine di coloro che ci credevano. Tutti quelli che discutevano fino a notte fonda su come e cosa scrivere ogni cazzo di settimana, quelli che la notte partivano con le macchine, carichi di secchi e colla per attaccarla, quelli che passavano giornate a fare piani su come e a chi scroccare le stampe del prossimo numero, quelli che cercavano soldi per pagare le decine di multe e denunce per attacchinaggio abusivo. Si organizzavano feste ed eventi, con i quali la comunità si autotassava per portare avanti e finanziare il progetto. Una volta si riuscì a comprare anche una stampante abbastanza potente da reggere i carichi di lavoro che il progetto comportava. Fu chiamata “Lubna” perché era una Xerox e bastò un attimo a fare due più due. Quella macchina cacava 400 fogli stampati a settimana, rigorosamente in bianco e nero, che raccontavano la città da un punto di vista diverso, a volte sfiorando l’autoreferenzialità o il totale dadaismo, ma erano le nostre parole e finalmente avevamo un modo di comunicarle all’esterno.
Dal 26 ottobre al 24 novembre 2019
Orari di apertura: https://nema.noblogs.org/orari/